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CHE COSA MI VUOI DIRE?

L’incontro con gli animali

Mi sono allontanato volontariamente e consapevolmente da un approccio all’animale frettoloso e distaccato. Non potevo permettere che un modello precostituito avesse così tanta influenza sulle mie azioni quotidiane. Le visite frettolose mi facevano rimanere troppo in superficie, i mezzi diagnostici mi aiutavano ad andare più in profondità ma mi separavano dall’animale.

È una gran bella cosa quando nella vita comprendiamo di aver preso una direzione sbagliata e io me ne accorsi abbastanza presto, anche se poi mi ci sono voluti più di vent’anni per raggiungere un porto sicuro.

I mezzi diagnostici hanno il vantaggio di riuscire a dare un nome e cognome al problema di cui soffre l’animale, ma hanno il grosso limite di dividere l’animale stesso in tanti frammenti che non comunicano assolutamente tra di loro.

Se l’animale ha una dermatite, il problema è la pelle, se ha l’otite il problema sono le orecchie, se ha la diarrea, è l’intestino.

Ovviamente questo libro non intende negare o rifiutare il senso di tale approccio, quanto piuttosto mira a evidenziarne i limiti e soprattutto la ristrettezza percettiva nell’identificare sempre e comunque l’animale solo con uno o più organi malati.

Le specializzazioni professionali, così diffuse in medicina umana, negli ultimi anni vengono proposte anche nel contesto della medicina veterinaria e rappresentano la naturale tendenza dell’approccio scientifico.

Se da una parte concentrare tutta l’attenzione terapeutica solo su una sezione molto stretta della realtà (identifico ad esempio la diarrea come una sofferenza della mucosa del colon) risulta quanto mai essenziale per poter definire con un nome specifico la patologia, dall’altra tale approccio ha l’intrinseco difetto di essere troppo polarizzante. Per polarizzazione si intende un qualunque tipo di esperienza che rimane concentrata solo su un polo. La Terra, ad esempio, ha due poli: polo nord e polo sud. È come se noi conoscessimo perfettamente e nei minimi dettagli il polo nord ma del polo sud non conoscessimo neppure l’esistenza.

 

Di Stefano Cattinelli vedi profilo

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